domenica 25 aprile 2010

Una serata palese

Ieri finalmente sono uscito dopo dieci giorni. Dieci giorni in cui ne ho dovute sentire di ogni. Il tal Bertone che accomuna l’omosessualità alla pedofilia. Se sapesse quanto mi stanno sul cazzo i bambini non parlerebbe così. Oppure quell’altra idiota della Sozzani. Neanche la commento. Io spero davvero che abbia licenziato qualcuno del suo staff. Insomma io le avrei detto che stava a scrive na marea di cazzate. Oppure la D’Urso. Che ogni giorno ci regala una storia sui gay. Anche oggi lo ha fatto. Immagino cosa pensi mio padre. Anzi, non lo voglio proprio sapere. Ma a parte questo, a cui ho deciso di non dare alcuna mia reazione, perché non se lo meritano, ieri, dicevo sono uscito. Direzione casa di Tata.




In metro ho fatto un’incontro che mi ha fatto riflettere. Diciamo che ho provato per la prima volta del rispetto per una checca sfranta. Senza offesa per tutte le checche sfrante, naturalmente. Lei era lì sulla panchina della metro, con il suo beauty appoggiate sulle ginocchia e uno specchietto in mano che si truccava alla grande. La banchina era deserta, e questo forse le ha reso l’ambiente più confortevole, ma appena mi ha visto, di sottecchi, si è fermato. Ha riposto lo specchietto nel beauty, si è girato e poi mi ha fissato per qualche secondo. Secondi interminabili, in cui ho pensato. Però, è un osso duro. Nel senso che è lì che si trucca, si trucca in metro e non teme il giudizio altrui. E riesce a fregarsene. Cosa che forse io non sono mai riuscito a fare. A fregarmene del giudizio altrui.


Per questo ho deciso che in qualche modo dovevo celebrare il coraggio di quella giovane checca in metro in qualche modo. E l’ho fatto così. Perché se lo merita. Perché c’ha le palle. E ne ha forse più di me. E questa riflessione ha stuprato il mio piccolo e solitario neurone per quasi tutte le fermate della metro da Battistini a Colli Albani. Quando poi sono arrivato da Tata le cose non andavano molto meglio. L’aria era pesante e depressiva, e nonostante il prosecco e le coccole alla fragola Haribo anche in macchina verso l’Amigdala da quella giovane checca coraggiosa ci siamo interrogati su come una donna pazzesca come Tata non abbia un uomo, e in definitiva non lo cerca neanche più, ma come vorrebbe un figlio. E su come Ga invece sia contrario ad avere un figlio.


Mau, invece, che ha una storia stabile e dopo non mi ricordo quanti mesi abbastanza collaudata, non sa ancora rapportarsi con l’idea di avere un figlio. Io ho solo poca pazienza con i bambini. E quello mi blocca. Ma al momento non mi ci vedo affatto. Mi immagino solo zio. Un ottimo zio. E probabilmente accadrà prima o poi. Naturalmente allo stato attuale delle cose è prematuro fare discorsi così. Ma confrontarsi non fa mai male. Confrontarsi aiuta a capirsi e anche meglio. Quanto è difficile non riuscire a decodificare determinati sentimenti e reazioni che ti scattano dentro. Per cui almeno parlarne nella discrezione della macchina di Ga rende tutto molto più semplice. Ma trovato il parcheggio, i nostri discorsi sono rimasti lì, in quella macchina.



Appena arrivati davanti il Rising Love abbiamo ritrovato il nostro mood migliore. Fingere aiuta a sentirsi migliori a volte. Ci siamo messi in fila e poco dopo siamo entrati. Arrivati davanti la cassa ci siamo chiesti per tipo una ventina di minuti come mai fosse possibile che eravamo ancora lì. Insomma quanto cazzo di tempo ci vuole a prendere i soldi e dare il resto? C’è bisogno di fare le chiacchiere? Quando eravamo quasi alla putrefazione, finalmente, il nostro Gancio si è palesato e ci ha accompagnato verso l’entrata. Timbro e via. Dentro. Così. Ecco perché adoro essere Annabelle Bronstein. Quando pensi che forse è il caso che la rottura di cazzo è tale che ti arriccia i capelli e vuoi fuggire, il Gancio ti salva. E a noi ci ha salvato.


Il Rising ha solo un difetto per quel che mi riguarda. E’ troppo buio. Per una cieca come me non è affatto utile stare al buio. Perché prima di tutto non riesci a capire se quelli che sono lì sono effettivamente boni, e quei quattro che conosci, ovviamente, non li riconosci. Ma andiamo al sodo. Incontrato un amico di vecchia data, il Sollazzo, non chiedetemi perché, ancora una volta mi sono ritrovato in un discorso devastante. Ovvero quando gigioneggiando come al solito, gli ho chiesto sulla sua vita sentimentale, lui mi ha risposto che io mi sono invaghito di quello che gli piace. Ussignur. Una lastra di ghiaccio sorprendente come una battuta della D’Urso mi si è palesata davanti facendo rischiare di rimanerci secco. Ho pensato immediatamente ad un nome.



Mr. Music I Like. L’unico che in qualche modo mi poteva accomunare a lui. E dopo un tira e molla inappropriato alla mia persona finalmente il Sollazzo ha detto la verità. Sacrilegio. Volevo sbattere la testa sul bancone del bar fino a spaccarmi le meningi a far fuggire via quel mio piccolo e solitario neurone. Oppure mi sarei tramortito volentieri tra le tette taglia extra-large di Francesca Cipriani. Ma né l’una né l’altra cosa mi sembrava troppo appropriata. Ma voi ve lo ricordate che Mr. Music I Like oltre che a dire ciao, come va non dice? A voi l’ho detto. In un attimo sono diventato una stronza arrivista. Una che fa le cose alle spalle. Volevo morire. Ho dimenticato immediatamente la funzione del tasto Mi Piace. E l’ho fatto chiaro anche ai miei interlocutori.



Chiarito il fatto, ho preso i miei amicici e ci siamo allontanati. E indovinate in chi incappo? Ovviamente in Mr. Music I Like che mi saluta da lontano perché eravamo tipo travolti da una folla di indie impazzite che manco al concerto dei dAri. Il quadro era completo. Lui era lì, io sono la pazza bastarda e il Sollazzo ci crede ciecamente. Ottimo, no. Ma che cazzo di paranoia. Deciso di comunicare le mie trascese e drammatiche condizioni via twitter e fumare una sigaretta all’aria aperta mi ritrovo a essere l’oggetto del piacere di questo ragazzo amico di un altro amico (mamma mia con tutti sti amici che bordello!), che mi ammicca mi si avvicina e ne vuole da me. Sì signori. Ne voleva da me. E lo ha palesato. Ridendo un po’ troppo, per i miei gusti, a dir la verità.



Ma non mi convinceva molto. Insomma molto carino. Un po’ troppo basso per i miei gusti. Ma niente male. Lui era lì, e io mi sono follemente imbarazzato. Ma tanto. Cosa che non mi era mai capitata prima. E mentre ero ancora lì che ci riflettevo, puf. Sparito. Mah. Ancora scosso per l’affair in atto rientriamo per avere ancora dell’alcool, e ancora una volta mi ritrovo faccia a faccia con Mr. Music I Like. Riusciamo a salutarci in maniera decorosa e scambiamo le solite quattro chiacchiere. E ancora una volta mi assale l’ansia. Decido che è il caso di fuggire. Fuggire lontano. Andiamo dritti verso il dancefloor a trovar pace, ma neanche lì, nostro malgrado. Io decido che è il caso di rifarmi. Avete presente quelle stronze, bionde, frociarole, acide, secche con le gambe lunghe?



Ebbene, c’è né una che gira per i locali queer della capitale. Che io odio. Così un po’ per rifarmi, e anche perché a prima di essere Annabelle Bronstein sono una vera stronza, ho approfittato della sua vicinanze e le ho messo lo sgambetto. E lei è quasi volata giù per terra. Eh si. Insomma ma chi ti credi di essere, Natalia Estrada? Soddisfatto, e rincuorato dalle mie capacità ginniche finalmente mi stavo leggermente riprendendo e stavo tornando in me. Avrei voluto fare uno sbrocco multiplo, un po’ a tutti gli attori di questo incriminato caso. Avrei preso Mr. Music I Like e gli avrei voluto dichiarare tutto il mio interesse, per lui, le sue mani, i suoi occhi, i suoi gusti musicale e le sua basette. Ognuno è feticista di quel che crede. Ecco. E invece no. Nulla. Siamo andati via.



E allora mi riallaccio alla checca che si truccava in metro. Lei è una grande. Lei nella mia situazione avrebbe saputo sicuramente cosa fare. Le avrebbe cantate al Sollazzo, e avrebbe fatto una serenata a Mr. Music I Like. E se avesse preso un no. Non gliene sarebbe fregato nulla. Io invece, non solo ho fatto spallucce davanti al Sollazzo. Ma non solo, non oso guardare in faccia Mr. Music I Like. E questo è palese. E tutto mi fa sentire come una sfigata orrenda. Tornato a casa. Mi sono coricato sperando di essere più coraggioso. Ma so che forse non lo sarò mai. In compenso però sono sgrammaticata, la più ignorata del web, e con uno strano feticismo per le basette e la parola palesata. Insomma ve ne sarete accorti. No? Ecco qua. Adesso la frittata è palesata, più che mai.

sabato 10 aprile 2010

Il dramma è sempre dietro l'angolo




Il venerdì sera era iniziato nel migliore dei modi. Una cena improvvisata, con pizza e patatine, e a sorpresa un maschio a cena. Insomma, tutto sembrava essere iniziato per il migliore dei modi. E infatti dopo aver dato un senso ai miei capelli sempre più simili a quelli di una lesbica, io Guy, la Burina e Ga siamo partiti in direzione Mucca con la BronsteinMobile. Dopo circa tre anni finalmente ho sorvolato sulla regola del non bevo se guido, e con molta parsimonia mi sono concesso solo un bicchiere di vino. Ma ho guidato io. Ed eccoci lì, sfrecciare in giro per la capitale, con le movenze pop a tutto volume, pronti a dimenarci sul dancefloor.



Dancfloor affollatissimo, e caldissimo e soprattutto stracolmo di boni devastanti, che da tempo non avevo la gioia di ammirare. Presi dall’alcool, ok, ho accettato di bere un Negroni soltanto, che si accendeva nelle vene e correva a stimolare la mia libido mi sono subito dimenato con movenze dannatamente pop e coreografie da mettere in imbarazzo Nicole Sherzingersrzengherhganghervalalas delle Pussycat. Eh si. Insomma, una vera e propria Dancin’ Queen. E la pista era davvero nostra. Io, Guy, Burina e Ga eravamo davvero scintillanti. Si, si, si. Ma come si sa, il bono quando arriva ti sorprende, ed io rimasi di nuovo sorpreso.



E’ la prima volta che parlo di lui. Ovvero di Mr. Music I Like. Diciamo che lui è intelligentissimo, simpaticissimo, ha un’ampia cultura musicale (che adoro) ed è anche capace di vestirsi casual senza sembrare un’etero privo di gusto. Il nostro è un rapporto prevalentemente basato sul fatto che lui posta video e io schiaccio “Mi Piace”. Tutto qua. Un classico dell’amore faccialibriano. Ma da faccialibro alla realtà il passo è breve, soprattutto a Roma. Dove tutto è possibile. Appena mi vede, io non sono più solo un avatar, ma divento reale, si avvicina mi saluta con due bacetti sulle guance e rompe il ghiaccio con un come stai?



“Bennnnnnnnnnnnnnnneeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee”. Urlo. Anzi, benissimo ora che mi consideri. Anzi valalalalalalalassss. Decido di essere vago, sorrido e ancheggio mentre la musica si riprende il mio corpo. Passiamo gran parte della serata sul dancefloor a guardarci. Ma senza chissà quale risultato. Ma a me basta. Lui è uno che mi piace davvero, e non posso permettermi di essere stupido, ma ci devo andare piano. Il fatto che poi abbiamo qualcosa come duemila amici in comune nella vita reale, oltre che su faccialibro, di certo non aiuta, per cui cautela e il mio mood. Ma ci concediamo una piccola pausa dal secondo piano, e saliamo al terzo.



Al terzo piano, oltre ad aver nascosto tutta l’aria condizionata del Qube, ci avevano nascosti anche dei manzoni devastanti vestiti da angioletti. E che angioletti. Ci siamo buttati nella mischia alla ricerca dei bonerrimi maschioni che agitano i nostri ormoni, ma non c’era traccia. Arrivava uno dei primi drammi della serata. E come noi tutti sappiamo il dramma è sempre dietro l’angolo. Sempre. Eccolo lì il NonGiò (un giovane diciannovenne bonissimo) con consorte a seguito che se la baciavano, se la spupacchiavano, se la intendevano di ben donde e ci guardavano. E intensamente. Escluso il ménage a sei, in realtà parlavano di noi.



Senza averne l’assoluta certezza abbiamo comunque deciso di evitare problemi e di tornare al secondo dove il mio Mr. Music I Like continuava a dimenarsi. E questa volta si era tolto la maglietta a manica lunga per lasciar posto a una t-shirt. Mamma quanto mi piace. Di lì a poco la musica mi ha rapito. Mi sono lasciato trasportare e me ne sono andato. Il mio ometto era lì che quasi come un sciamano richiamava l’attenzione del dj perché voleva una canzone. E quella canzone, poco dopo, è arrivata, e io ero lì che lo ammiravo e facevo lo stesso invitando il dj a soddisfare la nostra richiesta.



E poco dopo quella canzone è arrivata. Ussignur. Deja-vù! E con il suo arrivo è stata l’apoteosi. Ma oltre a questo, nulla, non c’è stato altro. E a me forse va bene anche così. Poco alla volta mi avvicinerò. Ma in quel momento Ga mi si è avvicinato e ha richiamato al coprifuoco. Accettato l’invito siamo andati via, e abbandonato il mucca con una certa allegria. E mai ultimamente era stato così. C’era un motivo, naturalmente. Il dramma è sempre dietro l’angolo. E il dramma lo abbiamo auto chiaro appena arrivati alla BronsteinMobile. Distrutta, e senza la mia borsa. La mia borsa pazzesca di Fred Perry. E tutta la mia vita all’interno sparita.


Tutto. Documenti. Carte. Chiavi di casa. Macchina digitale. Occhiali da sole. Tutto. Le foto. L’agenda. Le foto mie e dei miei amici. Tutto. Tutto. Preso da un momento di nevrosi acuta e iperdepressiva, mi sono rilassato ed ho trovato il mood giusto per reagire. Siamo andati in ben tre commissariati per fare la denuncia ma due si sono tirati indietro (Portonaccio non era di loro competenza) e il terzo era chiuso, manco fosse il Caf. (Così Ga se la riderà ancora ;)))). Appurato che non c’era davvero più nulla da fare, ho lasciato perdere, e me ne sono andato a letto. Con la convinzione che non te la puoi godere un’attimo, che sbam. Il dramma si ripropone. Ma stavolta reagirò in maniera matura e controllata. Ma il primo parcheggiatore abusivo che mi si avvicina farà una brutta, bruttissima fine. Si si si.



N.b.

Saranno felici i pr del Mucca. L’unica cosa che ho salvato è la mia White Card di Muccassassina. ‘Tacci Vostra.