lunedì 18 aprile 2011

Imperdibile!







Ne sentivate il bisogno? Sentivate davvero il bisogno che le cialtrone più temute del web vi commentassero in diretta la finalona del Grande Fratello? Ci avete sfidato... Per cui questa sera dalle 21 circa collegatevi qui, oppure su Popslut, ed entrate nella nostra web radio. Oltre alla sottoscritta, a Popslut, ovviamente, e guytaNOOO (noto twitterer capitolino, e mio amico - Guy per tutti voi altri che leggete questo blog!!!) succosi e deliranti ospiti vi attendo tra un nero e l'altro. Ma che fate ancora vi state ponendo il dubbio???
Questa sera, alle 21, ne faremo di bendonde!
Valalalassss

Ovviamente ampio spazio a chi vuole intervenire, basta commentare questo post (in cui stasera troverete la web radio) o attraverso i social network!

mercoledì 6 aprile 2011

La Tuta. E tutto ciò che comporta.


Lo sentite? Quel solicello che comincia ad essere più caldo? La temperatura che di giorno in giorno aumenta sempre di più? L’improvvisa voglia di uscire e andare fuori? E’ l’aria della primavera che comincia ad impossessarsi dei nostri istinti. Non so voi, ma il mio corpo alla primavera reagisce malissimo. Gli ormoni impazziscono, si picchiano tra loro e cominciano una dura lotta. La ragione poco a poco va a farsi un giro e la voglia, perenne, di interviste e waka waka occupa maggiormente i miei pensieri. I durelli si moltiplicano, a qualsiasi ora del giorno e della notte e i pensieri inciampano su di loro con un solo obiettivo, la voglia di ceppa. Sempre. Insomma, un vero e proprio esempio di risveglio del corpo.

Se la prova costume è ancora lontana, e grazie al cielo anche il caldo torrido, in questo ritrovato clima, in cui si sta ancora bene perché non si muore soffocati dall’afa, un dettaglio del maschio italico (frocio e non) spicca in maniera esagerata alla vista di tutti noi. Sì. Lo so. Il titolo ve lo ha già svelato, ma pensateci un secondo, all’università, sullo struscio, nei negozi, al lavoro, intorno a voi si sono tutti messi una bella tuta. Eh sì. Perché è questo l’accessorio fashion ed extra cool che ci manda tutti in visibilio. Credetemi. Sarà l’ormone che ha spodestato la ragione (per quanto ne avessi), ma l’uomo in tuta stravince, e convince, in attesa dell’arrivo dello shorts. E pensare che quando andavo a scuola, la tuta, non la potevo affatto sopportare.

Ma facciamocelo un salto nel passato. Per me alle elementari e alle medie il giorno no era il venerdì, quando avevamo le due ore di palestra. E mi devastava il sol pensiero di dover indossare la tuta. Io odiavo la tuta. Era riuscita Melanie C a farmela piacere un pochetto di più, visto l’esplosione Spice dell’epoca. Ma se fosse stato per me, la tuta l’avrei bruciata in piazza. Addosso me la vedevo antiestetica, informe. E mi faceva caldo. In più mi pizzicava. Mia madre poi aveva approfittato di una svendita per prenderla a me e mio fratello, quella in acetato dell’Adidas. Me la guardavo e riprovavo, ma niente. Mi sentivo insoddisfatto e un cesso. In più, tutta l’attenzione finiva sulla pancia, e non sul pacco, che invece scompariva sotto di essa.

Mi dava troppo fastidio. E poi non mi piaceva proprio per niente come finiva nella scarpa, non riusciva mai a coprirne la linguetta. In più, cosa volete che facessi io in palestra? Ero una schiappa. Non mi andava di fare esercizi, né di giocare a calcio (con tutti i miei compagni), infatti mi mettevano sempre in porta. E a me non dispiaceva affatto. Mi riposavo. Oddio, una volta mi sono anche addormentato, ma vabbè, suppongo sia successo a chiunque di addormentarsi durante le lezioni, no? Ho odiato le ore di palestra e la tuta fino a quando sono arrivato alle superiori. Il giorno incriminato era il lunedì. Facevamo due ore di diritto, matematica e le ultime due in palestra.

E alle superiori, in piena accettazione della sottoscritta, capii che forse c’era speranza. Noi facevamo palestra con quelli del quarto anno, e loro avevano messo su la squadra di pallavolo. Io, che amavo alla follia Mila & Shiro, ed ero anche già abbastanza alto all’epoca, non persi tempo per interessarmi alla cosa. Insomma, volevo giocare con loro, che erano ovviamente dei boni da paura. Ce n’era uno in particolare, alto, magro ma tonico al punto giusto, occhi chiari e capelli castani. Ricci. Aveva ancora l’abbronzatura dell’estate, e dalla sua tuta si notava una certa dote che non sto qui a sottolinearvi. Io volevo che mi notasse. Per cui, in un momento di vuoto della lezione, mi sono messo a palleggiare con il mio compagno di banco.

Ovviamente in maniera molto evidente. Palleggiavo e schiacciavo addirittura. Infatti, nemmeno cinque minuti e vennero subito a chiamarmi due del quarto che mi volevano parlare. “Ti va di fare da palleggiatore? Noi ci alleniamo durante le lezioni la mattina, e poi in vista delle partite del torneo studentesco ci vediamo anche il pomeriggio, ma cominciano più in là. Che ne pensi?” E che volete che pensassi? Ho subito accettato. Mi sono ritrovato in mezzo a questi diciottenni grezzi, già sviluppati, che mi stavano praticamente invitando a nozze. Ma non immaginate niente di scabroso. All’epoca mi bastava guardarli. E basta. Anzi io arrivavo 5 minuti in ritardo dall’inizio della lezione perché mi vergognavo di spogliarmi davanti a loro, e ritardavo sempre ad andare a cambiarmi alla fine per lo stesso motivo.

Ogni volta però i miei occhi indugiavano sulla tuta del capitano. Lui si spogliava sempre e rimaneva in mutande, si rinfrescava al lavandino e poi si rivestiva. Sempre con calma. Nella mia testa mi dava l’impressione che lo facesse apposta, per farsi guardare, perché sapeva di essere un bel tipo. Faceva gesti lenti ma precisi, non poggiava mai il suo sguardo su nessun altro nello spogliatoio, ma sapeva che lo stavano guardando. E un suo compagno di classe (che poi il tempo mi ha svelato essere anche lui amante della ceppa) gli chiedeva sempre come facesse ad avere quel corpo lì. Io ero in silenzio, quasi incantato dal suo discorso che era sempre il solito. Andava in campagna a tagliare la legna, costretto dal padre.


E credo che mi arrapasse anche il fatto che fosse un contadino nell’animo. Ciò nonostante, però, il mio rapporto con la tuta non è mai stato idilliaco. Archiviati i ricordi di un adolescente occhialuto, brufoloso e panzuto, non ho mai amato il capo come in questi ultimi anni. Insomma i media, con le star del piccolo schermo soprattutto, che hanno cominciato a sdoganare la tuta e a renderlo un capo da relax ma anche sexy, hanno accresciuto la sua immagine. Fino a farlo diventare un vero e proprio dettaglio che manda in visibilio. Insomma, lo è per lo meno per me. La tuta fa sangue. La tuta copre, ma non nasconde. E non è chiusa. La tuta c’è, ma in un attimo va via. E a me personalmente da un senso di maschio che non deve chiedere mai.

E se bene o male a Roma la tuta fa burino, mi sono reso conto che a casa mia, in Abruzzo, la tuta fa cool. Orde di boni, maschi etero e omosessuali, di tutte le età, in libera uscita nelle vie della città, la indossano senza imbarazzo alcuno, lasciando i miei ormoni alle pezze. E voglio assolutamente sfatare il mito che la tuta la indossano solo le checche. E’ vero, esiste una categoria di checche che veste esclusivamente con tute di ogni genere, ma non sono affatto le sole. Ho visto tori, maschioni, muratori e polentoni dare un significato diverso alla tuta. Ognuno di loro. E secondo me è ora di decretare la tuta come un accessorio gaio di cui non poter fare a meno. Fate un giro su Guys With iPhone e capirete di cosa parlo.

Diciamoci la verità, la tuta è come la minigonna per le donne. E’ un dettaglio che può sembrare insignificante, ma che aumenta a dismisura la carica erotica di chi la indossa. E anche le voglie di chi guarda. Stimola l’ormone, la voglia, ed è altamente facile da abbassare e altrettanto semplice da indossare. Insomma un capo fondamentale che non può assolutamente mancare nei nostri armadi. E poi a me sa tanto di salutare. Ecco perché anche io non solo ne comprerò una, ma la indosserò con il solo obiettivo di stuzzicare i maschietti in giro, che come me hanno l’ormone in delirio. E poi, tutt’al più, posso pensare anche, seriamente, di andarci in palestra una buona volta. No?

venerdì 1 aprile 2011

Nuove consapevolezze?


Avevo già ampiamente affrontato il discorso su twitter, e per me era un capitolo chiuso. Ovvero avevo dichiarato profondo odio per mia cugina che ha un blog di cucina molto più seguito del mio. Naturalmente l’avevo ricoperta di ingiurie e insulti di ogni genere. Insomma la cialtrona che era in me era ufficialmente uscita allo scoperto. Ma credo di odiarla solo perché è mia cugina e perché in fondo tra noi non c’è mai stato questo gran rapporto. Poi avrò anche pochi lettori, ma me li tengo ben stretti, e sono pienamente soddisfatto di tutti loro. Ma l’altra mattina, dopo quasi dieci ore di sonno, mi sono alzato e sono andato in cucina. E lei, la sua macchina fotografica digitale, sei sue lettrici affezionate e mia madre erano tutte indaffarate a preparare una torta.


Immaginate la mia faccia. Di primo acchito era scambiabile per la diarrea di un rottweiler. Che aveva mangiato da Mc Donald’s, naturalmente. Oltre al pigiama e a tutto il resto. Mia madre è caduta dalle nuvole. Come sempre, in questi casi, “Uh, ma ti sei svegliato? Aspetta che faccio il caffè... Queste signore sono amiche di tua cugina che ha un coso su internet dove mette le ricette, con le foto, e oggi è venuta per mettere la mia ricetta sul suo… Blog? Capito?”. E mia cugina, quasi per spiegarmi cosa fosse un blog, si è sentita autorizzata ad aggiungere: “Sai è come un sito internet, solo che ci scrivo io, quello che voglio. E loro sono le mie lettrici più accanite. E’ davvero una cosa divertente, non so se sai di cosa si tratta!”


Sfigata. Secondo te devi venire a spiegarmi che cosa straminchia è un blog? A me? Una che ha un blog pazzesco come questo? Porella. Ho deciso di non rispondere e ignorare lei e le sue belzebù. Abbuffatomi di schifezze e caffè mi sono reso conto per la prima volta di quanto mia madre sia ingombrante. Non fisicamente. Parlo del suo ego. E in fondo io ho ripreso in tutto a lei in questo. Basta darle un minimo di considerazione ed è fatta. Te la sei ufficialmente giocata. Mia madre ha una bella casa, un marito che nonostante le scaramucce normali in una coppia, la ama, due figli quasi totalmente realizzati, le manca solo aver girato il mondo. O comunque aver vissuto almeno per un po’ fuori da Chieti.


Cosa che invece io ho fatto appena laureato. La grande fuga. Quattro anni fa infatti, giorno più giorno meno sono partito per Roma. Inutile sottolineare che in quattro anni io sono cambiato, e tanto, ma anche gli altri che stavano intorno a me. Siamo cambiati, proprio perché era inevitabile. Abbiamo fatto cose pazze, cose belle, cose pericolose e anche una sacco di bei topoloni. Ci siamo dovuti confrontare con problemi più o meno seri, i chili di troppo e il rispetto per gli amici. Abbiamo pianto di gioia, e riso per nervosismo. In qualche modo, siamo cresciuti. Ci siamo evoluti. E quando un periodo si chiude, in qualche modo lo senti. Quando le cose che stanno intorno ti cominciano a stare strette, senti che arriva il momento di rimetterti in gioco, rimescolare le carte e provare a giocare una nuova partita.


Insomma, senti il bisogno di provare a cambiare, un’altra volta, e migliorarti. Perché è fisiologico per ogni essere umano migliorare se stessi. E forse anche per me, quel momento è arrivato. Si, tutta sta manfrina di quasi una pagina per dire che forse è il caso di rimettersi in gioco, e provare a cambiare lavoro e ad avere qualcosa di meglio. Ancora non vi ho mai parlato del mio lavoro. Tutti voi sapete che sono un’addetta alle pubbliche relazioni. Ovviamente non è vero. Ma nei prossimi mesi vi aprirò anche questo lato di me. Per raccontarvi altre storie, e per essere pienamente sincero. Nei mesi che verranno mi aspettano viaggi e colloqui, città nuove e un’unica certezza: se il nuovo lavoro andrà in porto dovrò lasciare Roma.


E’ questo è il punto cruciale e allo stesso tempo drammatico. Roma. Una città magica, bella, vitale e fonte di ispirazione perenne per me, che ho scelto come mia città potrebbe non esserlo più. E per un lungo periodo anche. Ma io sono veramente pronto a staccarmi da Roma? A lasciare le mie amiche e le persone che ho conosciuto e vissuto in questi quattro anni? A ricominciare, da zero ancora una volta e forse per almeno cinque anni? E soprattutto dove? Reggio Emilia, Verona, San Benedetto, Ancona, Bologna o Milano??? I dubbi, le incertezze, la paura. Tutto si materializza di nuovo nella mia testa, dentro di me, a dar noia a quel povero piccolo neurone. Ma io sono davvero pronto? Lo sono davvero? Bene. A voi, l’ardua sentenza.


The End: Il mio pesce d'aprile!

Mi sembrava logico che era un simpatico e spassosissimo pesce d'aprile. Ma figuratevi se chiudo il blog! ;) Buon pesce a tutti, sempre!

Tutte le cose belle, prima o poi, finiscono. E forse e' arrivato il momento di mettere un punto, bello grosso, anche qui. In due anni ho scritto e fatto le cose più assurde e inaspettate, anche per me stesso, e forse oggi, mi rendo conto di non aver granché da dire ancora. Quel lieto fine non c'e stato, quella voglia di affermarsi, neanche. Mi ripeto che le fasi ci investono, ci cambiano e poi passano. E forse io, sono cambiato. E quindi arrivato il momento di ringraziare tutti, e dire addio al pisello odoroso. Questa storia, finisce così.