Mi sono accorto che il farmaco
stava facendo effetto nel momento in cui inserito l’ago in vena una sensazione
di sollievo si è palesata dentro di me. Il nostro corpo, più di ogni altra
cosa, ha la capacità di raggiungere l’omeostasi, ovvero attraverso meccanismi
chimico-fisici raggiunge la stabilità interiore. Rifletto su questo concetto da
un paio di giorni. Dal giorno in cui con la coda fra le gambe e la dignità
sotto le suole sono fuggito a casa dai miei. “Codardo” penso quando la mia
immagine fa capolino in qualche specchio. Ed in casa dei miei gli specchi sono
pressoché ovunque.
Ma ripenso all’omeostasi. Un
concetto che durante i miei studi mi ha sempre affascinato. E’ l’unica cosa che
mi sia stata chiara quando preparavo il
difficilissimo esame di Fisiologia. Assieme al ciclo cardiaco. Ovviamente. La
tendenza naturale al raggiungere una stabilità interna delle proprietà
chimico-fisiche comune a tutti gli organismi viventi, per i quali questo stato
tende a mantenersi nel tempo, attraverso dei precisi meccanismi autoregolatori.
Una cosa che detta così appare molto semplice. In realtà avviene per diverse e
complicatissime reazioni. A me sconosciute.
Questo concetto non mi è mai
appartenuto, nonostante io sia oramai da quasi trentuno anni vivente. Ora più
che mai avverto il disagio della mancanza. Ecco, sarebbe semplice se ciò che
non c’è, attraverso la connessione ad un
sistema di fleboclisi, possa essere inoculato in noi e renderci all’istante in
totale equilibrio. Ma è stranoto che più una cosa sia voluta e più questa tarda
ad arrivare. Non a caso il concetto di equilibrio è ancora più importante.
Tempo fa avevo la fissa di chiedermi ripetutamente perché fossi qui. E quale
fosse il mio obiettivo.
Mio malgrado ho sempre dovuto
fare i conti col dover giustificare il perché delle cose. Prima ai miei. Poi
per un difetto ho cominciato ad esagerare, ed ora faccio cose che poi devo
giustificare a me stesso. Sprazzi di lucidità che si intervallano a momenti di
pura follia. Un momento sei Annabelle e il momento dopo no. Con tutto ciò che
ne compete. Faccio fatica a cambiare me stesso per paura. E’ sempre stata la
paura che mi ha regolato il livello di sopravvivenza alle cose, di ogni genere.
Dalle più brutte alle più belle. Una perenne pressione che si è tradotta nel
tempo con sigarette, mal di stomaco ed emicranie devastante. E l’insonnia.
Un residuo di ciò che un essere
umano può essere. E neanche la sua parte migliore. Così la mancanza mi ha
distrutto. Mi ha lacerato dentro fino a quando non sono stato più capace di
riconoscere il dolore. L’intensità del dolore è una variabile che ci permette
di capire se quello che sta accadendo ci sta facendo male o meno. Se ci sta
uccidendo. Variabile che mi è sfuggita
al controllo. Soprattutto quando di notte mi svegliavo sudato, o strano e senza
voce perché avevo urlato come un pazzo fino a qualche secondo primo. E se
nell’obnubilamento del sonno qualcuno mi stava uccidendo, appena sgranavo gli
occhi mi preoccupavo del significato che potesse avere quello che avevo visto.
Semmai fosse stato vero.
In realtà, poco dopo me ne
scordavo, e per sopperire alla noia del silenzio della notte, intervallato dal
preciso e sempre uguale ticchettio dell’orologio appoggiato sulla cassettiera
della camera da letto, preferivo distrarmi con uno dei nove libri appoggiati
sulla scrivania che ancora attendevano di essere letti. Invano. Quella tecnica,
che molte altre volte prima mi aveva regalato un sonno tranquillo, in realtà
aveva smesso di funzionare. La certezza di riaddormentarmi svaniva, e perso
l’interesse per il libro passavo a contare i rintocchi che la lancetta dei
secondi compiva durante la sua inarrestabile corsa.
Senza, ovviamente riuscire a
trovare pace. Così di li a poco attendevo l’arrivo del giorno, e mi alzavo
diretto verso il bagno e poco dopo verso la cucina, per la colazione. Niente
però mi aveva tranquillizzato. Niente aveva ristabilito l’omeostasi.
L’equilibrio. Ho interrogato anche un medico a riguardo, ma non siamo riusciti
ad andare oltre la prescrizione di inutili fiori di Bach. Non dormivo. E il
risultato più drammatico erano delle occhiaie nere sotto gli occhi che di
giorno in giorno apparivano sempre più marcate.
Nel mio essere scostante in tutto
ho iniziato a capire, poco a poco di quanto fosse importante avere una giornata
il più stancante possibile, che mi avrebbe permesso così, di notte, di
riposare. Invece nulla. Niente di tutto questo. La discontinuità dei miei
intenti si era rivelata ancora, in maniera più sonora, una stupidaggine ed io
non facevo altro che perdere tempo. Bighellonare tra un social e l’altro, o
peggio, alla ricerca di qualcuno con cui passare qualche ora. Dando il sesso
come soluzione a questo intrigato e complesso rompicapo di cui non venivo a capo.
Di cui non vengo a capo.
Accettare l’eventualità di non
dormire, in realtà, si stava rivelando molto più utile. Occuparmi dell’insonnia
metteva tutto il resto in secondo piano:
i miei pensieri, i miei comportamenti e le mie mancanze. Ed i miei equilibri
mai raggiunti. In perenne deficit. Contrasti forti che non si compensano mai.
Uno stato di necessità che si alimenta, e che inevitabilmente mi rende in ogni
momento inadeguato. Mai pensieri furono più lucidi. E soprattutto così facendo
ho capito che l’omeostasi non la raggiungerò mai, o tutt’al più l’ho raggiunta,
ma ancora non l’ho capito.
Ciao, è parecchio che non scrivi. Mi chiedevo come ti stessero andando le cose.
RispondiEliminaTanti cari saluti da una sconosciuta, nonchè silenziosa e affezionata, lettrice del tuo blog.
In realtà ho spostato il blog su un'altra piattaforma. Il blog c'è ed è raggiungibile a questo indirizzo http://www.ilpisellodoroso.com o http://ilpisellodoroso.wordpress.com Grazie per continuare a leggermi comunque!!!
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