lunedì 9 novembre 2009

Un inaspettato incontro.


La vita delle volte è davvero imprevedibile. Chi di voi avrebbe mai scommesso che io stamani avrei avuto un date? Ovviamente una ceppa leppa di nessuno visto che non lo avrei detto neanche io. Praticamente sono tornato a casa dal lavoro alle 10, giusto il tempo di preparare i moduli e sono riuscito per andare alle poste. Adesso, chi di voi ama andare alle poste di lunedì mattina? Credo nessuno. Io pure non penso sia una cosa simpatica. Ma tantè. Armato di pazienza e speranza sono andato in contro al mio destino. Grazie al cielo non era così pieno come avevo previsto, per cui mi sono messo in fila ad attendere il mio momento. Quando dietro di me arriva un tipo, che mi sbatte violentemente rischiando quasi di mandarmi giù per terra.

Bene. Tento di rimanere calmo e non fare la mia solita venduta di pesce, e soprattutto mi rendo conto di essere in visibile imbarazzo visto che la mia faccia si colora dei soliti colori dal rosso al porpora passando per il fucsia vintage. Mi giro per vedere a chi devo destinare le mie prossime maledizioni, e incontro il viso di un trentenne, visibilmente imbarazzato per avermi investito, alto poco più di me, occhi chiari e carnagione scura. “Hey, scusami non volevo travolgerti”. Dice. Io lo guardo un po’ meglio è sento i miei ferormoni cominciare a ballare il Meneito Beep Beep con coreografie dal dubbio gusto. E sentenzio, effettivamente è bono da fare schifo. “Ma no, tranquillo, può succedere”. Rispondo abbozzando un sorrisetto zoccolegno.

Mi rigiro e faccio finta di niente. Ma devo ammettere di provare una certa attrazione. Penso al suo volto e mi viene in mente che io da qualche parte l’ho già visto. Anche se non ricordo dove, quando mi si è accende una lampadina. Questo tipo è venuto sabato mattina dove lavoro a ritirare dei documenti. E ci ho anche parlato, perché non sapeva dove andare di preciso. E già in quell’occasione i miei ormoni avevano deciso di scatenarsi con una più sobria Beyoncè in “Single Ladies”. Ma non penso sia gay. Andiamo, un tipo del genere mi sembra proprio non appartenere alla famiglia. Decido di trovare qualche segnale, e con la coda dell’occhio tento di scovare sulla sua mano sinistra la presenza di una fede. Ma non riesco a vedere una ceppa, lui è proprio dietro di me.

Uff. Decido allora che devo fare la svampita-rincoglionita-bionda, e butto a terra il modulo per l’accredito del libretto postale. Sbuffo con molta naturalezza, e mi abbasso, ricordandomi improvvisamente di avere un mega strappo sui jeans proprio all’altezza del culo. Maledetti skinny di Zara. Mentre faccio questo movimento però, il mio investitore dietro di me, si abbassa e prende il modulo prima di me. Ecco, che figura avrà visto sicuramente il mio culo all’aria. Che figura. Decido di fare il vago, ringraziarlo di nuovo e con la scusa finalmente posso essere sicuro che non ha legami così importanti che lo obblighino a portare un anello. Ma non può bastarmi. E se facesse un lavoro che non gli permetta di portare l’anello al dito? Che ne so, il macellaio?

Ma no. Sempre con questi cliché sessualmente porcellosi in testa. Decido che è il caso di piantarla lì, e archiviare tutto il mio movimento pelvico per lui. Nel frattempo è il mio turno. Faccio le mie operazioni ed esco. Lui non è più dietro di me, è andato due sportelli più in là a fare i fatti suoi. Faccio spallucce ed esco. Mi metto in fila per il bancomat però, ovviamente mi sono scordato di prelevare. Davanti a me ci sono due persone, per cui mi accendo una sigaretta. Mentre soddisfo il mio bisogno di nicotina, eccolo di nuovo il tipo che si mette affianco a me. Mi sorride e dice “Ci si scorda sempre di prelevare!!!”. Mamma le cose che abbiamo in comune sono 4870. Io annuisco e casualmente gli sputo il fumo in faccia.

Lui accusa il colpo. Fa un passo indietro come se quello per lui fosse stato un chiaro invito. E mi guarda abbozzando ancora un sorriso. E io ri-sorrido ancora. E mentre eravamo lì che ce la sorridevamo era già arrivato il mio turno per prelevare. Ed è stata la gentilissima signora dopo di noi con un chiaro enunciato “Aò, cè sbrigamo che devo d’andà a cucinà???”. Ottimo. Anche preso a parole dalla prima pizzettara della situazione. Mi avvicino e prelevo. Poi chiedo l’estratto, e mi rendo conto della crisi che avanza e termino le operazioni al bancomat. Lui mi guarda e mi sorride, di nuovo, e mi chiede una sigaretta. MA CE STA’ A PROVA’???? Penso. Io non perdo tempo, caccio il pacchetto e gli porgo una sigaretta, e lui risponde “Ah, Marlboro Light, ottimo!”.

Mamma mia. Indeciso se calargli le braghe lì e prendermi ciò che mi spetta oppure correre via, opto per entrare nel vicinissimo tabacchi per perdere tempo, e dargli modo di finire la sua operazione e di uscire e magari seguirlo. Anzi no. Seguirlo no. Vedere che direzione prende. Oppure se ha una macchina. Prendere il numero di targa, il modello dell’auto. NO. NO. NO. Ma cosa dico. Non sono più una stalker. Entro nel tabacchino e compro due goleador maxi. Pago ed esco. E Bingo. Eccolo qui. Che prende la ricevuta dal bancomat. Ma adesso che faccio? Decido di far finta di telefonare, e vedere dove va. Ci vorrà un attimo. Un secondo. Estraggo il mio i-phone dalla tasca e faccio finta di premere il touch screen, in realtà non lo sblocco neanche. E comincio a parlare.

Lui si avvicina, e il dramma, la punizione divina, la vendetta per tutti i miei peccati si abbatte inesorabilmente su di me. Il telefono SQUILLA. Credetemi, volevo morire. Lì. In quel preciso istante ho pensato che l’unica cosa che mi avrebbe fatto risalire dal baratro in cui mi ero murato vivo con le mie stesse mani era accennare alla danza del pollo. Ma sarebbe stato troppo. Per cui, ho fatto il vago, ed ho esordito con scioltezza “Scusa ho una seconda chiamata in linea, devo lasciarti.” Rosso come un peperone con lui che aveva chiaramente sentito me parlare al telefono e subito dopo lo stesso suonare. Rispondo alla mia boss che mi ricordava che dovevo tornare a lavoro alle 14. E quasi stizzito riattacco. Lui nel frattempo mi ha superato e prosegue a passo lento e dritto.

Poco male penso. Ancora in serio e motivato imbarazzo decido che è il momento di guardare e vedere che succede. Attraversa il primo incrocio, e continua a camminare dritto. Non si gira e non si muove. Controlla qualcosa al telefono, forse un messaggio. Mamma quanto sono impiccione. E se fosse solo un essere umano che sta vivendo la sua vita normalmente. Decido di piantarla lì, e di evitare di fare altre pessime figure. Ma quando lo sto pensando, in un secondo lui si ferma, si gira, e mi si pone a 4 cm dalla faccia. Penso che potrebbe essere un nuovo attacco omofobo, anche se cè ben poco da scherzare, oppure il momento della verità. Io rimango immobile, in attesa, con lo sguardo interrogativo e pronto. Lui sorride ed esclama:

“Scusa, ti sembrerà strano, ma stavo pensando che forse potevamo prendere un caffè insieme. Sai ne voglio uno, ma entrare in un bar solo mi fa troppo tristezza, per cui se ti và..”. MACHECOSADOLCEECARINAESIMPATICAOMIODDIOMIOOOIOGIA’TIAMOOOOO. No vabbè. Calma. Avrei voluto fare la mia danza dei festeggiamenti con movenzadannatamentepop. Ma riesco a trattenermi. Sorrido e annuisco. D’altronde non ha mica tutti i torti, che tristezza prendere il caffè da soli. Mi stringe la mano, e si presenta, “Piacere Domenico!”. “Piacere mio, Annabelle Bronstein!”. Dico senza pensarci troppo su. Entriamo e ci appoggiamo al bancone, dove lui ordina un caffè macchiato al vetro.

Anche io prendo sempre il caffè macchiato al vetro. Comincio a pensare che sia uno scherzo. Ma non è tutto. Caccia un i-phone dalla tasca e controlla un sms. Bene sa anche che l’i-phone non suona se ricevi una chiamata mentre stai già parlando. Decido di evitare il discorso poste e telecomunicazioni con lui. E gli porgo una bustina di zucchero. Lui mi guarda e mi blocca, “No ne prendo due”. Io sono devastato. Anche io ci metto due bustine di zucchero nel caffè. Perché la vita è tanto amara già di per sé. E perché non voglio ritrovarmi a settant’anni a mangiare scondito e senza sapori senza poter ricordare lo zucchero. E lui dice la stessa identica cosa. Ma questo mi legge il pensiero. Penso. Anzi. No, non devo più pensare.

Lui mi dice che si occupa di pubbliche relazioni, che gli piace molto la musica e che vorrebbe lavorarci, ma che per ora gli va bene così. Che si ricorda di me perché mi ha visto sabato mattina quando è venuto a ritirare dei documenti dove lavoro io. Mi chiede che ore sono, e che faccio nella vita. Bene. Si tratta davvero di un mega rimorchio per strada questo. Decido di parlargli di me, ma di non essere troppo chiaro. Non mi va di scoprirmi in tutto e per tutto. Beviamo il nostro caffè, e lui paga, senza darmi il tempo neanche di chiederglielo. Prendo un euro dalla tasca, e glielo avvicino, ma senza mezzi termini me lo rimette in tasca. Noto finalmente le sue mani da vicino. Sono grandi, con le unghie ben tagliate e ben idratate.

Già lo amo. Mi dice se ci fumiamo una sigaretta fuori e che me l’avrebbe offerta lui a questo punto. Allora le aveva anche lui. Un altro chiaro segno. Ci sta provando. “Ah, allora le avevi le sigarette”. Lui sorride, e accusa il colpo. “Si sai com’è. Era una scusa… Bè ecco, per fare quattro chiacchiere”. Oh mio Dio. Ma io ti amo. Vorrei quasi quasi esultare ma non posso. Devo rimanere abbastanza vago. Mentre fumiamo mi chiede i miei programmi per la giornata. “Bè sai, devo andare a lavoro, stasera mi tocca un doppio turno, pomeriggio e notte”. Lui si dispiace, e mi chiede se possiamo scambiarci i numeri di telefono. Io dico che non cè problema. Anzi, lo facciamo immediatamente. Mentre le sigarette sono ormai finite.

Mi dice che va di fretta, che gli dispiace perché avrebbe fatto volentieri altre quattro chiacchiere. Io non capisco. Non ancora. Gli dico che se vorrà avremo modo, e che anche io non è che abbia tutto sto tempo libero per cazzeggiare. Si avvicina, mi appoggia la mano dietro la schiena, avvicinando un pochetto a lui e mi da due baci sulle guance. Io mi imbarazzo troppo. Ma cerco di fare il vago. Andiamo mica sono una sedicenne rincretinita. Lui sorride, e mi saluta. Attraversa e io continuo dritto. Mentre cammino mi giro e vedo che anche lui si è girato. Mi giro poco dopo, ed è ancora lì che mi guarda. Faccio altre dieci metri, e mi giro per l’ultima volta. Lui mi sta ancora guardando. Mi chiedo vivamente da dove esca fuori un tipo così carino e a modo. E spero che si faccia sentire presto.

Decido di celebrare questa giornata, e di ricordarla non solo come il giorno in cui il muro cadde, ma anche come quello in cui per la prima volta sono stato rimorchiato per strada in modo carino. Adesso spero vivamente che non sia la solita bufala, per cui l'imperativo è far finta che non sia accaduto niente, anche se sto già iniziando con le psicosi da telefono che non prende. Per cui preparatevi tutti, perchè ne avremmo ovviamente, di bendonde di dirne e farne.

7 commenti:

  1. e io sono davvero felice per te, almeno capisci che Gayrome(n)o, come dice qualcuno di nostra conoscenza, non è tutto.
    Guy

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  2. Che bello, sono contento per te, AB.
    E ti invidio, santoddìo U.U

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  3. che tu sia dannata! una cosa così non mi è mai successa e mai mi succederà.

    La Du Barry (che ha perso il suo saggio ottimismo di due aperitivi fa...)

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  4. Anche se il mio sogno bagnato è di incontrare l'uomo dei sogni alla Sma o alla Feltrinelli, tutto ciò ci si avvicina pericolosamente.
    Adorabile, necessito di dettagli aggiuntivi.

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  5. qui si stanno creando troppe aspettative ,che poi portano male. va a finire che questo si conferma dolce,arrapato e carino,ma con il pesciolotto piccolo piccolo.
    quindi si proceda con i piedi di piombo.
    però..come dire...oddio lo voglio pure io un incontro così!!! mcD

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  6. McD hai profondamente ragione, ma a parte questo la cosa importante e' che cmq nn si e' fatto ancora vivo. Io ci spero, ma ovviamente ne ho sto perdendo le speranze... Chi vivra'....

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  7. Un rimorchio di gran stile! Ma complimenti. La prossima volta, invece di far finta di parlare a telefono, fai finta di leggere gli sms. :D

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